La chiusura delle scuole e delle Università non risolve il problema coronavirus, anzi, rischia di peggiorare la situazione.
L’Italia si sveglia in piena emergenza coronavirus e realizza la cosa nel momento in cui il governo interviene con misure drastiche allo scopo di limitare – nel pieno rispetto della democrazia – o in qualche modo modificare la vita degli italiani, chiamati a vivere a distanza di sicurezza, ad esempio.
Ma se i consigli sono utili, soprattutto quando incontrano la responsabilità dei cittadini, il provvedimento con il quale è stata disposta la chiusura delle scuole e delle Università per almeno 15 giorni è un errore clamoroso. E che potrebbe presentare un conto particolarmente salato.
Perché la sola chiusura delle scuole e delle Università è un errore (e non risolverà il problema)
Iniziamo dai tempi e dai modi. Fino a poche ore prima l’ufficializzazione della misura preventiva, tutti invitavano a parlare del numero dei guariti e della diminuzione dei casi di contagio. Quando tutti eravamo convinti di essere sulla strada giusta, arriva, come un fulmine a ciel sereno, la comunicazione della chiusura delle scuole.
Quando arriva? Intorno alle sette di sera (dobbiamo considerare l’ufficializzazione e non le indiscrezioni di stampa che erano addirittura state contestate). Alle sette di sera le famiglie italiane vengono ufficialmente a sapere che a partire dal giorno successivo non avrebbero potuto mandare i figli a scuola.
È pregevole il fatto che al governo abbiano avviato riflessioni per poter permettere a uno dei genitori di rimanere a casa. Il problema è che queste riflessioni andavano fatte prima, e non dopo.
Il ritorno a casa degli studenti fuori sede
C’è poi il tema della chiusura delle Università. Tanti, tantissimi studenti fuori sede hanno approfittato o approfitteranno della sospensione dell’attività didattica per fare ritorno a casa. Tradotto, partiranno da Milano, da Roma o da Bologna, ad esempio, per andare magari al Sud. Il tutto senza controlli. Nel caso in cui uno dei ragazzi fosse contagiato, magari asintomatico o in fase di incubazione, prenderebbe il treno o il pullman, tornerebbe nella sua città e probabilmente vivrebbe una vita normale. Vederebbe amici e parenti, uscirebbe, andrebbe a fare la spesa. Nella speranza che possa rispettare il consiglio di stare ad almeno un metro di distanza dal suo interlocutore. Impensabile.
Serviva altro
La sensazione è che siamo di fronte a un mezzo passo in avanti che da solo rischia di peggiorare la situazione. Sarebbe stato coerente procedere con limitazioni agli spostamenti, ad esempio, così come sarebbe stato coerente dare indicazioni ai supermercati per limitare o regolare l’accesso dei clienti. In questo modo avremo solo migliaia di ragazzi in più liberi di girare.